Il d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito dalla l. 11 settembre 2020, n. 120, ha modificato la fattispecie di abuso di ufficio. L’art. 323 c.p., prima della novella, puniva «il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto», avesse intenzionalmente procurato a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arrecato ad altri un danno ingiusto.

Il suddetto decreto ha sostituito le parole «di norme di legge o di regolamento» con «di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità». 

Il legislatore ha pertanto ristretto il perimetro applicativo della fattispecie, correlando la responsabilità del pubblico funzionario alla violazione di norme di legge – con conseguente irrilevanza di regolamenti, norme subprimarie o secondarie – caratterizzate da specificità e completezza tali da non lasciare margini di discrezionalità.

La VI sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 442 del 9 dicembre 2020 – 8 gennaio 2021, ha chiarito che alla novella è conseguita una limitazione della responsabilità penale del pubblico funzionario, «qualora le regole comportamentali gli consentano di agire in un contesto di discrezionalità amministrativa, anche tecnica», a condizione però che l’esercizio del potere discrezionale non trasmodi «in una vera e propria distorsione funzionale dai fini pubblici – c.d. sviamento di potere o violazione dei limiti esterni della discrezionalità – laddove risultino perseguiti, nel concreto svolgimento delle funzioni o del servizio, interessi oggettivamente difformi e collidenti con quelli per i quali soltanto il potere discrezionale è attribuito; oppure si sostanzi nell’alternativa modalità della condotta, rimasta penalmente rilevante, dell’inosservanza dell’obbligo di astensione in situazione di conflitto di interesse». 

Ne consegue – conclude la Corte – che il d.l. n. 76 del 2020 ha sottratto al Giudice, nella valutazione circa la configurabilità del delitto in parola – l’apprezzamento dell’inosservanza di principi generali, di fonti normative regolamentari o subprimarie nonché il sindacato sul mero “cattivo uso” della discrezionalità amministrativa.

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