La Cassazione si pronuncia, in materia di responsabilità penale del datore di lavoro, sul principio di correlazione fra accusa e sentenza, sulla necessità di accertare la consapevolezza del datore di lavoro circa la sussistenza di prassi incaute dei lavoratori, sull’obbligo di disporre l’audizione del consulente della difesa – anche nel caso in cui venga disposta una nuova perizia – in sede di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello.

1. Viola il principio di correlazione fra accusa e sentenza la qualificazione in appello della condotta del datore di lavoro come omissiva, a fronte dell’originaria contestazione di una condotta colposa commissiva, quando l’imputato non abbia avuto la concreta possibilità di apprestare in modo completo la sua difesa in relazione ad ogni profilo dell’addebito, come avviene nel caso in cui i due addebiti siano fra loro strutturalmente eterogenei.

2. Non è sufficiente, ai fini dell’affermazione di penale responsabilità, il mero richiamo alla sussistenza di prassi incaute dei lavoratori, ma è sempre necessario accertare – quantomeno in via logica, e non certo sulla sola base dell’astratta posizione di garanzia – che il datore di lavoro ne fosse, o dovesse necessariamente esserne, a conoscenza.

3. Il giudice di appello che fondi sulle dichiarazioni rese dal perito o dal consulente tecnico, nel corso del dibattimento di primo grado, la riforma della sentenza di assoluzione, ha l’obbligo di procedere alla loro rinnovazione, anche nel caso in cui in secondo grado sia stata disposta nuova perizia, rendendo quest’ultima ancora più pregnante l’esigenza di procedere al confronto dialettico tra le tesi sostenute.

Con la decisione n. 36778, 3 dicembre – 21 dicembre 2020, la IV sezione della Corte di Cassazione ha ribadito alcuni importanti principi in materia di responsabilità penale del datore di lavoro.

Al ricorrente si contestava, in particolare, di aver disposto la realizzazione di un cancelletto abusivo, utilizzato dall’infortunato, in luogo dell’apposito varco munito di fotocellule, per accedere al macchinario presso cui si verificava l’infortunio.

Assolto in primo grado, l’imputato veniva dalla Corte di Appello ritenuto responsabile, nella sua qualità datoriale di garante generale della sicurezza dei lavoratori, per aver omesso di vigilare in merito alla realizzazione e all’utilizzo del suddetto cancelletto.

1. Il Supremo Collegio ha anzitutto ritenuto sussistente una violazione della legge processuale, con riferimento agli artt. 521 e 522 c.p.p., in quanto la condanna interveniva in relazione a una condotta, omissiva e riferita a un profilo di culpa in vigilando, diversa da quella commissiva oggetto di contestazione.

La Cassazione, segnatamente, ha ritenuto che la Corte territoriale abbia posto a carico dell’imputato un fatto radicalmente diverso da quello contestato.

Se è vero – rileva il Collegio – che nella giurisprudenza di legittimità si è affermato il principio secondo cui la qualificazione in appello della condotta in colposamente omissiva, pur ritenuta in primo grado commissiva, non viola il principio di correlazione fra accusa e sentenza, è comunque una condizione imprescindibile «che l’imputato abbia avuto la concreta possibilità di apprestare in modo completo la sua difesa in relazione ad ogni possibile profilo dell’addebito» (in questo senso Cass. pen., sez. IV, 8 marzo 2018, n. 27389, in CED Cass., rv. 273588). Una simile condizione non è integrata, in ragione dell’eterogeneità degli addebiti e della conseguente compressione del diritto di difesa, nel caso in cui l’imputato sia chiamato a rispondere di una condotta volontaria e consapevole e, assolto in primo grado da tale addebito, venga condannato in appello per una condotta omissiva ispirata a negligenza.

2. La Corte di Cassazione sottolinea poi come non sia sufficiente, ai fini dell’affermazione di penale responsabilità, l’apodittica affermazione circa la sussistenza di prassi incaute dei lavoratori, ma è sempre necessario accertare – quantomeno in via logica, e non certo sulla sola base dell’astratta posizione di garanzia – che il datore di lavoro ne fosse, o dovesse necessariamente esserne, a conoscenza. Non può infatti «essere ascritta al datore di lavoro la responsabilità di un evento lesivo o letale per culpa in vigilando qualora non venga raggiunta la certezza della conoscenza o della conoscibilità, da parte sua, di prassi incaute, neppure sul piano inferenziale (ossia sulla base di una finalizzazione di tali prassi a una maggiore produttività), dalle quali sia scaturito l’evento». Il Collegio osserva altresì, a tale proposito, che «in presenza di una prassi dei lavoratori elusiva delle prescrizioni volte alla tutela della sicurezza, non è ravvisabile la colpa del datore di lavoro, sotto il profilo dell’esigibilità del comportamento dovuto omesso, ove non vi sia prova della sua conoscenza, o della sua colpevole ignoranza, di tale prassi» (v. Cass. pen., sez. IV, 16 aprile 2019, n. 32507, in CED Cass., rv. 276797).

3. La Suprema Corte censura, infine, la scelta della Corte territoriale di non procedere, nell’ambito della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e dopo aver disposto l’audizione del perito, all’audizione del consulente tecnico della difesa. Il Collegio, in particolare, richiama quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui, «in tema di rinnovazione dell’istruttoria, il giudice di appello che fondi sulle dichiarazioni rese dal perito o dal consulente tecnico, nel corso del dibattimento di primo grado, la riforma della sentenza di assoluzione, ha l’obbligo di procedere alla loro rinnovazione, anche nel caso in cui in secondo grado sia stata disposta nuova perizia, rendendo quest’ultima ancora più pregnante l’esigenza di procedere al confronto dialettico tra le tesi sostenute dai periti» (Cass. pen., sez. IV, 10 aprile 2019, n. 31865, in CED Cass., rv. 276795). Proprio «la necessità di un maggiore confronto dialettico tra tesi opposte, in una prospettiva di ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado, avrebbe imposto di procedere a nuovo esame del consulente tecnico della difesa».

Il testo integrale della sentenza in http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/

Condividi: