«L’interesse della società può configurarsi, ai fini della responsabilità amministrativa dell’ente a norma del d.lgs. n. 231 del 2001, anche nel caso di una isolata trasgressione della normativa antinfortunistica, dovuta a un’iniziativa estemporanea, senza la necessità di provare la natura sistemica delle violazioni, allorché altre evidenze fattuali dimostrino il collegamento finalistico tra la violazione e l’interesse dell’ente» (Cass. pen., sez. IV, 31 marzo 2021, n. 12149).
La Suprema Corte affronta nuovamente, con la decisione in commento, il tema della configurabilità di un interesse in capo all’ente nel caso di una isolata violazione della normativa antinfortunistica.
Occorre anzitutto ricordare, a questo proposito, che l’art. 5, co. 1, del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, stabilisce che «l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio», definendo il nucleo centrale di imputazione oggettiva della responsabilità all’ente.
L’estensione della responsabilità degli enti alle fattispecie colpose in materia di infortuni sul lavoro ha posto, come è noto, difficoltà di coordinamento della disciplina dei criteri di imputazione, originariamente previsti con riferimento a fattispecie esclusivamente dolose, rispetto alle quali è più agevole individuare in capo all’ente un interesse o vantaggio rispetto alla commissione del reato.
La giurisprudenza ha tuttavia ritenuto compatibili con i reati colposi i criteri in parola, da rapportarsi non all’evento, ma alla condotta di violazione delle regole cautelari (sul punto v. C. Santoriello, I requisiti dell’interesse e del vantaggio della società nell’ambito della responsabilità da reato dell’ente collettivo, in Riv. resp. amm. enti, 2008, 3, p. 49 ss.).
Il tema è stato ulteriormente sviluppato dalla Cassazione, la quale, già nel 2013, ha chiarito che «il richiamo all’interessedell’ente valorizza una prospettiva soggettiva della condotta delittuosa posta in essere dalla persona fisica da apprezzare“ex ante”» (Cass. pen., sez. V, 28 novembre 2013, n. 10265, in CED Cass., rv. 258575).
Siffatta interpretazione è stata confermata dalle Sezioni Unite, le quali – affermando fra l’altro che la colpa di organizzazione, da intendersi in senso normativo, è fondata sul rimprovero dell’inottemperanza all’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali necessarie a prevenire la commissione di reati, da consacrarsi in un documento che delinea i rischi e le misure volte a contrastarli – hanno specificato che «il criterio dell’interesse» esprime «una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, al momento della commissione del fatto, e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo», (Cass. pen., sez. un., 24 aprile 2014, n. 38343, in CED Cass., rv. 261114).
Per quanto concerne invece il vantaggio, esso ha «una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito» (Cass. pen., sez. un., 24 aprile 2014, n. 38343, cit.).
Nella decisione in commento la Corte, dopo aver ribadito la natura alternativa e non concorrente dei criteri di imputazione di cui all’art. 5 D.lgs. n. 231 del 2001, fa propri i principi sopra descritti, ripercorrendo la casistica elaborata dalla giurisprudenza di legittimità in relazione all’interesse e al vantaggio dell’ente, configurabili, nella materia de qua, a fronte: di un risparmio di risorse economiche conseguente alla mancata predisposizione dei procedimenti e dei presidi di sicurezza; dell’incremento economico correlato all’aumento di produttività, non ostacolata dal rispetto della normativa prevenzionale; del risparmio sui costi di consulenza, sugli interventi strumentali, sulle attività di formazione e informazione del personale; della velocizzazione degli interventi di manutenzione e di risparmio sul materiale.
Fatte tali premesse, il Collegio affronta il problema della esatta individuazione dei parametri di imputazione oggettiva, avuto riguardo al connotato della sistematicità delle violazioni, ritenendo – sulla scorta delle argomentazioni già sviluppate in Cass. pen., sez. IV, 22 settembre 2020, n. 29584, in CED Cass., rv. 279660 – che tale requisito non sia necessario, potendo sussistere un interesse dell’ente anche nel caso di una trasgressione isolata dovuta a una iniziativa estemporanea. Da un lato, afferma la Corte, il connotato della sistematicità non è «imposto dalla necessità di rinvenire un collegamento tra l’azione umana e la responsabilità dell’ente che renda questa compatibile con il principio di colpevolezza» e, dall’altro, sarebbe «eccentrico rispetto allo spirito della legge ritenere irrilevanti tutte quelle condotte, pur sorrette dalla intenzionalità, ma, in quanto episodiche ed occasionali, non espressive di una politica aziendale di sistematica violazione delle regole cautelari, considerato peraltro l’innegabile quoziente di genericità del concetto di sistematicità».
Il discorso – prosegue il Supremo Collegio – «attiene al piano prettamente probatorio, cui tale connotato appartiene, quale possibile indizio della esistenza dell’elemento finalistico della condotta dell’agente, idoneo al tempo stesso a scongiurare il rischio di far coincidere un modo di essere dell’impresa con l’atteggiamento soggettivo proprio della persona fisica. Ne deriva, quale logico corollario, che l’interesse può sussistere anche in relazione a una trasgressione isolata, allorché altre evidenze fattuali dimostrino tale collegamento finalistico, così neutralizzando il valore probatorio astrattamente riconoscibile al connotato della sistematicità».